Sono le conferenze che Calvino preparò per l’Università di Harvard, che non furono mai tenute perché la morte lo colse improvvisamente.
Ne erano previste sei, ma nel suo dattiloscritto, lasciato pronto sopra la scrivania da mettere in valigia, ne furono trovate solamente cinque, la sesta l’avrebbe scritta negli Stati Uniti, si sarebbe intitolata “Consistency” e di essa Esther Calvino dice che avrebbe parlato di Bartleby lo scrivano. In appendice vi è uno scritto, intitolato “cominciare e finire”, ritrovato tra le carte dello scrittore, in cui Calvino illustra, citando esempi illuminanti, l’importanza e la significatività degli incipit del romanzo, di quel fatidico e delicatissimo momento in cui si oltrepassa la soglia della molteplicità del mondo vissuto per entrare in un mondo nuovo, quello della parola, a partire dall’invocazione alle Muse di Omero fino a Proust e Musil, concludendo che la storia della letteratura è ricca di incipit memorabili, mentre i finali originali sono più rari, a dimostrazione di quanto sia decisivo il collegamento tra la molteplicità dell’esistente e la particolarità dell’opera letteraria, che è “una minima porzione in cui l’universo si cristallizza in una forma, in cui acquista un senso, non definitivo, ma vivente come un organismo”.
Le lezioni contengono un’esposizione articolata e illustrata con continui riferimenti a opere letterarie classiche e moderne dei requisiti che, secondo la concezione moderna che Calvino aveva, la letteratura del nuovo millennio avrebbe dovuto salvare: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità. Mi limito a dire che, nonostante l’apparente autonomia degli argomenti trattati, ho rilevato una circolarità nelle tematiche svolte da Calvino, in quelle che egli individua come le linee guida per lo scrittore, ma anche per il lettore, tale per cui esse si presentano come complementari o comunque interdipendenti